Il risparmio non è mai guadagno… o no?
Giorni fa sono entrata nel solito supermercato per acquistare delle mele e nel cercare dove riporre il mio ombrello gocciolante, sono stata gentilmente invitata da un addetto alle pulizie ad utilizzare un suo sacchetto di plastica per non bagnare il pavimento del locale. Ho così eseguito l’operazione richiesta e mi sono recata al reparto frutta, dove, per confezionare le mie mele, ho dovuto servirmi di un guanto monouso di plastica (regolarmente poi gettato in un bidone assieme agli scarti di verdura e molto altro) e di uno shopper in materiale biodegradabile. Dopo la pesatura, sono dunque passata in cassa a pagare, ho preso lo scontrino fiscale e mi sono avviata verso l’uscita non dimenticando di riprendere il mio ombrello, liberandolo dalla bustina di plastica che ho gettato in un cestino all’ingresso dell’esercizio, insieme ad altri mille mila sacchetti e rifiuti vari……
Perché vi ho fatto tutto questo apparentemente futile racconto? Perché ad un tratto mi sono resa conto che la logica che ci ha spinto ad incentivare delle forme di risparmio e di rispetto per l’ambiente o delle regole di controllo fiscale, spesso è del tutto “illogica”.
Il ‘goal’ 12 della famigerata Agenda 2030 promuove l’attuazione del programma decennale dell’ONU per un modello di consumo e di produzione sostenibile. “…L’obiettivo è adottare un approccio rispettoso dell’ambiente ai prodotti chimici e ai rifiuti. Il volume dei rifiuti dovrà essere notevolmente ridotto, tra le altre cose grazie al recupero. Lo spreco di derrate alimentari dovrà essere dimezzato. Le imprese dovranno essere spronate a una gestione aziendale sostenibile…”. Ma è davvero così? Gettando nel contenitore la bustina bagnata infatti, ho riflettuto sul fatto che Il sacchetto di plastica che deve servire a non bagnare il pavimento, viene utilizzato in un giorno di pioggia da centinaia di clienti che regolarmente dopo gli acquisti lo buttano nel cestino dell’indifferenziato, favorendo in questo modo un aumento indiscriminato del rifiuto, uno spreco di plastica e di denaro speso per tale “indispensabile” accessorio. Ma davvero è meglio utilizzare tanto materiale plastico, piuttosto che asciugare il pavimento bagnato o sarebbe bene trovare un’altra soluzione? Il rimedio? Magari potrebbe essere utile inserire nei carrelli un alloggiamento dove far sgocciolare gli ombrelli, con buona pace degli addetti alle pulizie e con i ringraziamenti del pianeta.
Ma andiamo al reparto frutta, acquistando le mie mele, ho dovuto servirmi di un guanto monouso di plastica e del sacchetto in materiale biodegradabile. Ebbene nell’estate del 2017 il Parlamento italiano ha approvato la Legge 3 agosto 2017, n. 123, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno.”, il cosiddetto Decreto Mezzogiorno. Tale decreto conteneva, all’interno dell’articolo 9-bis, il recepimento della direttiva UE 2015/720 che imponeva dal 1° gennaio l’uso esclusivo di plastica biodegradabile per i sacchettini “ultraleggeri”, ovvero quelli utilizzati per la pesatura di prodotti alimentari sfusi, come appunto frutta, verdura, e pane.
Dal 1° gennaio 2018 perciò, vige l’obbligo di utilizzare sacchetti biodegradabili monouso che paghiamo noi regolarmente alla cassa, e che non sono veramente facilmente smaltibili nell’organico, anche perché risulta difficile rimuovere le etichette adesive con il peso e il prezzo della merce, con conseguente aumento delle microplastiche che inquinano le falde acquifere.
E qui la mia riflessione: ma non era meglio utilizzare le buste di carta come quelle del pane che sono interamente riciclabili e smaltibili nella carta e sono pure gratis? Chi dovevamo far arricchire per accontentare l’Europa che stava per sanzionarci? E l’Europa chi doveva favorire? Sono tutte domande che mi frullano in testa tanto da indurmi a fare una ricerca sul Web che ha evidenziato come al tempo (parliamo del 2018) fu scatenata una polemica in quanto una delle aziende che più avrebbe guadagnato dall’introduzione dei sacchetti bio era la Novamont[1], unica azienda italiana del momento a fornire il materiale per produrre i sacchetti bio, e che deteneva l’80%” del mercato. Caso volle che il suo amministratore delegato era tale Catia Bastioli, una fedelissima dell’allora Presidente del Consiglio uscente Matteo Renzi. La questione si protrasse a lungo, tra conferme e smentite, fino a sgonfiarsi con l’ingresso in campo di altre numerose aziende che fiutarono l’affare e iniziarono a produrre i sacchettini bio.
Dal mio approfondimento è emerso ancora che dall’aprile di quest’anno non è più obbligatorio per il consumatore comprare gli shopper presso il punto vendita, in quanto la Sentenza del Tar n.6732 del 18 aprile 2023, permette l’uso di contenitori alternativi alle buste in plastica, ma in ogni caso idonei a contenere alimenti come frutta e verdura, autonomamente reperiti dal consumatore, anche se, riflettendoci bene, per alcune tipologie di prodotto il contenitore non è nemmeno necessario. Quindi potremmo evitare l’uso e l’acquisto degli shopper nel supermercato, ma di questo quanti ne sono a conoscenza? Quanti vediamo fare acquisti utilizzando propri contenitori? Quasi nessuno, perciò la polemica è rientrata, ma noi continuiamo a pagare i sacchetti e nessuno ce lo dice!
Infine, dopo tutte queste riflessioni, guardo il mio scontrino e arrivo a farne una pure sulla cassa, o meglio sul “lenzuolo” che mi hanno rilasciato in cassa dopo aver acquistato solo due euro e quaranta centesimi di mele: ma davvero serve tutta questa carta per attestare quanto il supermercato ha fatturato? Ebbene sembra proprio di sì, perché la normativa afferma che uno scontrino fiscale deve includere:
- la ragione sociale e il nome e cognome dell’emittente;
- il numero di partita IVA dell’emittente;
- l’ora e la data di emissione;
- il numero dello scontrino;
- il logotipo fiscale e il numero di matricola della macchina usata per produrre lo scontrino;
- I corrispettivi parziali;
- Sconti o correzioni;
- Subtotali (se ci sono sconti o correzioni che modificano i corrispettivi parziali);
- Rimborsi (se il caso lo richiede);
- Totale dovuto in evidenza.
Certo, tutti dati indispensabili per contrastare l’evasione fiscale per carità, ma ancora una volta mi sembra che il rimedio sia peggiore del male! Carta non smaltibile con la raccolta differenziata della carta e quindi non riciclabile[2] e perciò dannosa per l’ambiente, carta che va ad alimentare le discariche ormai sempre più sature.
Insomma, mi sembra che per comprare due mele ho consumato e inquinato talmente tanto che sto pensando ad un bell’orto sul balcone di casa, cosa che mi permetterebbe di alimentare la cosiddetta new urban ecology e chissà mai che non scopra un impensato pollice verde che mai avrei sospettato di possedere, consentendomi di limitare notevolmente dannose e inquinanti incursioni al supermercato!
Cristiana Tortora
[1] https://www.valigiablu.it/legge-sacchetti-biodegradabili/
[2] https://www.comieco.org/dove-buttare-gli-scontrini/#:~:text=Le%20carte%20pi%C3%B9%20comuni%20per,quindi%20vengono%20considerate%20non%20riciclabili.