Assange è libero…il giornalismo è libero
Julian Assange è finalmente libero, ha scontato la sua pena. Non è stato graziato né ha vinto un processo, ma ha accettato una condanna per aver reso pubblici documenti segreti in violazione di una legge contro lo spionaggio emanata dagli Usa nel 1917, e mai usata prima. I 62 mesi di condanna patteggiata sono esattamente il tempo che Julian Assange ha trascorso nella prigione di alta sicurezza di Belmarsh di Londra. E’ appunto un patteggiamento, un accordo tra l’amministrazione Biden ed i legali del giornalista. Alcuni analisti politici ritengono che il presidente americano avesse ormai tutto l’interesse a liberarsi del fondatore di Wikileaks poiché con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 4 novembre prossimo la questione Assange sarebbe diventata un boomerang inevitabile.
Bene ha fatto Assange a patteggiare e riconquistare la libertà negatagli per 12 anni solo per aver rivelato al mondo i crimini di guerra degli Usa…e getta.
Sappiamo che questo non è un mondo giusto ma il capitalismo neoliberale ha prodotto anche queste distorsioni, il potere del denaro, della finanza e quindi delle armi, compra tutto e tutti, e ricatta perfino gli altri governi che obbediscono alla legge del più violento senza battere ciglio.
Mercoledì 26 giugno Assange, diretto a Camberra, sua terra di origine, si è fermato a Saipan città dell’isola delle Marianne, strappate al Giappone nel 1944, quindi territorio americano, per firmare l’estorsione di patteggiamento, unica condizione per rivedere i suoi figli e la sua famiglia.
Sua moglie Stella Morris ha dichiarato che adesso Julian deve recuperare la salute fortemente pregiudicata dagli anni di prigionia e di torture subite, come ha riconosciuto anche l’inviato dell’ONU Nils Melzer.
La persecuzione del governo americano nei confronti di Assange è stata tanto spudorata quanto cinica, infatti nessuno degli autori dei crimini rivelati dal giornalista australiano è stato mai incriminato tanto meno condannato, invece lui che ha svelato i reati è stato imprigionato, vilipeso e umiliato per 12 lunghissimi anni.
Qualcuno afferma che la sua libertà non è soltanto una decisione d’interesse della amministrazione di Biden ma è anche il frutto di un’azione di protesta prolungata ed insistente messa in atto da tanti suoi sostenitori e colleghi che in moltissime città si sono radunati per protestare.
Questo per tutti è il momento di esultare per la libertà di Assange ma è anche l’occasione per protestare contro il bavaglio intimidatorio che i potenti del mondo vogliono incollare sulle bocca del giornalismo libero ed indipendente che per sua natura riconosce e diffonde la veridicità dei fatti.
Ciò nonostante voglio qui evidenziare la figuraccia che tanti colleghi giornalisti hanno fatto senza scrivere un rigo su questa cosmica ingiustizia, altrettante città hanno negato ad Assange la cittadinanza onoraria come vergognosamente ha fatto il comune di Milano. Poi i politici si lamentano che il popolo, la città reale non si fida più delle istituzioni e non va più a votarli.
Forse è vero, come qualcuno ha detto, che questa ammissione di colpa, estorta in cambio della libertà diritto naturale e inviolabile, può costituire un pericoloso precedente per il mondo della informazione critica vera e non allineata, ma è altrettanto vero che uomini e donne di tutto il mondo hanno ora una nuova consapevolezza: conoscono sempre di più chi è il nemico dell’umanità, sanno sempre meglio come combatterlo e non soccombere.
Le società in cui ci arrabattiamo per sopravvivere forse vedranno dei martiri nella battaglia del bene contro il male, succede ora in Kenya uccisi 27 manifestanti, ma la giustizia è dalla parte corretta della storia ed il tempo della resa dei conti è sempre più vicino.
Carlo Ceresoli