Il giornalismo in tempi di guerra.

Il giornalismo in tempi di guerra.

Ucraina, Russia e rispettivi alleati sono quasi al terzo mese di guerra. La risposta del ministro Zhao Lijian cinese alle provocazioni USA su Taiwan e il summit all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (tra Russia e Paesi membri) evidenziano che, tranne per l’aspetto militare ancora limitato, la guerra ha ormai carattere mondiale per geopolitica, economia, valute e culture.

Mai come oggi questo scenario bipolare ha esposto il tallone d’Achille dell’informazione.

La credibilità di tg, giornali e mass media è ormai tragica e risibile. Storica, ma iconica, è la gaffe di Mentana che scambia la scena di un film per l’assalto in tempo reale al Campidoglio americano da parte dei sostenitori di Trump.

Una sbalorditiva serie di notizie cambiano diametralmente il proprio contenuto, a seconda che siano date da media occidentali o russi e filo russi.

La nave russa Moskva prima data per affondata, poi non colpita, poi incendiata da un problema tecnico, poi traghettata, infine affondata, dimostra che in alcuni casi, è impossibile distinguere tra verità e menzogna.

Mistificare non è fine tattica militare, escogitata dai migliori scacchisti del pianeta o dai più fini strateghi della NATO, ma è la strategia che ha finito per occultare il cadavere di un’altra vittima: la corretta informazione.

Le conseguenze sull’opinione pubblica sono fatali. La misura è colma. Il flusso di informazioni così contrastanti è un continuo bombardamento che ha mandato in tilt la capacità di discernimento. Il cervello è per natura abituato a credere che la realtà oggettiva è unica ed uguale a se stessa, quindi,  per logica aristotelica, quando due fonti si contraddicono, di certo una delle due è falsa. Questo errore può essere casuale solo se raro, se invece diviene la norma, allora prova matematicamente che esiste una sistematica volontà a causarlo.

Le maggiori testate internazionali sono gruppi editoriali privati, riconducibili ai famosi tre fondi di investimento, in mano ai soliti di gruppi di influenza. Quando si persegue il profitto, necessariamente si esaurisce lo spazio per la morale. L’inchino del mondo dell’informazione alle case farmaceutiche o alla narrativa di guerra occidentale, è ultimo esempio della torsione tra notizia e verità. Anche le reti nazionali, in teoria pubbliche e imparziali, risultano allineate alla fibrillazione caotica di medesime notizie variabili “in funzione di chi le eroga”.

Il mondo news non è riducibile a pochi esecutori, schiavi del profitto, è universo variegato che va dal singolo tweet indipendente, al grande gruppo editoriale. L’informazione va dal DNA mitocondriale al chiacchiericcio delle comare, ai servizi segreti, alla censura, all’orizzonte degli eventi di ogni buco nero: unico posto da cui non torna indietro. Chi vuole deve trasmettere informazione, non deve produrre informazione. Deve rispettare la verità, il suo editore, la deontologia, il linguaggio, la sua coscienza. Le notizie vanno più veloci della luce e vanno date in equilibrio, anche tra forma e tecnologia in uso.

Basti osservare l’espansione di Facebook o Twitter,  meta-luoghi in cui la libertà di notizia è andata dalle stelle alle stalle dei fact-checkers.

Tutto cambia, ma anche le regole? Le regole auree del classico giornalista, ligio, frasi di massimo 25 parole, senza subordinate, pochi aggettivi, limite di 2500 battute, insieme ad onorare il sacro “chi-dove-come-quando-perché”: lasciano spazio alla notizia in se, forse togliendo troppo alla verità. Nel mondo giusto il giornalista deve essere un altoparlante, un ripetitore pedissequo, amanuense.

In questo mondo, in cui “dire la verità è un atto eroico” (G.O.) chi vuole informare, ha per missione difendere la verità, offesa da troppi altri sotto ricatto per sopravvivere.  Fare giornalismo oggi è un’arte complessa, tanto più imperfetta quanto più perequa tutte le esigenze tra mercato ed editore, perfetta solo se rispetta la verità ad ogni costo.

Questo monito è urlato non solo alla stampa italiana, ma a chiunque non ricerca più neanche su internet le informazioni che sono ormai  disponibili a tutti. Cronaca o opinione: conclusivo dilemma. Forse è giornalismo anche quando riportiamo una notizia vera, nuda e cruda ma senza fornire insieme a questa un proprio parere?

Non siamo inanimati nastri trasportatori, ma esseri umani: niente più segnali di fumo, né telegrafo, né caratteri mobili, siamo nell’era dell’infocrazia….. ma guai a dimenticare animo e coscienza.

Ing Vincenzo Santoro

Post a Comment

#SEGUICI SU INSTAGRAM