L’Act per spiare i giornalisti
Il 3 ottobre ultimo scorso, il Parlamento Europeo ha votato una legge sulla “libertà e la trasparenza nei media”, l’European Media Freedom Act (EMFA), che dovrà essere discusso e definitivamente approvato il 18 ottobre dal Consiglio d’Europa.
Certo l’obiettivo è come sempre onorevole, così come lo erano per i provvedimenti sui sieri sperimentali denominati vaccini, lo scopo dichiarato era quello di proteggere dal virus per non morirne, sappiamo tutti ormai invece qual é stato il vero fine: il depopolamento, la dipendenza dai farmaci ed il controllo della popolazione restante.
Questa norma ha come specchietto per le allodole, come cavallo di troia i soliti principi finanche condivisibili, nel caso specifico si proclama il diritto alla informazione trasparente ed alla libertà di parola. Chi è contrario a questi fondamenti della convivenza civile si faccia avanti.
In aula hanno votato a favore 448 deputati, 102 contrari e 75 astenuti.
Gli europarlamentari italiani favorevoli sono quelli di Forza Italia, Italia Viva, Partito Democratico e Verdi Italiani; alcun voto italiano contrario ma si sono astenuti il Movimento 5 Stelle, Fratelli D’Italia e Lega, bello sforzo.
Poi però, come succede in altre iniziative legislative europee, la tutela dell’ambiente, la casa green, la lotta all’inquinamento atmosferico, si celano verità nascoste, ma anche non più tali, i cui veri obiettivi sono il controllo sociale e la graduale eliminazione dei diritti fondamentali sostituiti da servizi ai quali potranno accedere solo gli zelanti cittadini che rispetteranno le imposizioni di turno.
Nel caso specifico dell’EMFA, in nome di questi principi, all’art. 4 si approva l’introduzione di programmi spia (spyware) nei cellulari e nei dispositivi usati dai giornalisti allo scopo di risalire alle fonti delle loro informazioni per verificarne l’attendibilità e la veridicità dei fatti.
Poco importa che la legge n°63 del 1969 che disciplina l’attività giornalistica tuteli la rivelazione e l’identità delle fonti al fine di preservare il rapporto di segretezza e di informare l’opinione pubblica di notizie che altrimenti non sarebbero di dominio pubblico.
Poco importa che nel cellulare, nel suo computer il giornalista mantiene tutti i dati sensibili alla sua vita professionale ma anche personale e quindi ha diritto alla riservatezza.
Tale spionaggio autorizzato avverrebbe in condizioni di dichiarata emergenza e sicurezza nazionale, ma chi decide se e quando si realizzano queste condizioni? E se ad accedere ad informazioni vere provenienti da fonti attendibili non è ancora un giornalista iscritto all’albo, cosa succede in questo caso, si tratterebbe di una violazione nella riservatezze di un privato cittadino, creando un precedente deleterio. E quando il giornalista non è cittadino della UE? E dalla prospettiva di una potenziale “fonte”, con il rischio di perdere l’anonimato, chi glielo fa fare a rivelare informazioni segrete?
Con queste oggettive determinanti limitazioni, quanti scandali, truffe e reati non potranno essere più denunciati e resi pubblici, si dovrà tacere, non si potrà più pubblicare.
Questo è il vero obiettivo di questo “Act”, all’americana, e non è purtroppo una sorpresa, almeno per noi giornalisti disillusi, “sgamati” e non allineati.
E come faranno? Prenderanno i numeri del cellulare dei giornalisti iscritti all’albo e con la complicità delle aziende telefoniche inseriranno a nostra insaputa il programma spia? E se l’hanno già fatto? Non sappiamo forse di essere già controllati su ogni messaggio, su ogni accesso a piattaforme on line o ai social media. A tutti è capitato, per esempio, di citare un determinato prodotto in una conversazione telefonica privata e vedersi proporre repentinamente sui canali on line la pubblicità o la proposta di acquisto proprio di quel citato prodotto commerciale.
Se la biondina matrigna della UE, arrogante esecutrice delle disposizioni del “deep state” anglo-americano, avesse avuto un programma spia nel suo cellulare avremmo potuto conoscere il contenuto dei suoi messaggi con il capo della Pfitzer, quando concordavano i termini degli accordi sulle quantità e sui costi dei miracolosi sieri letali.
Invece è la politica che interviene a delimitare l’ambito della libertà di stampa, non è sufficiente il disposto dell’articolo 11 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e nemmeno le disposizioni dell’articolo 21 della Costituzione Italiana:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”
Carlo Ceresoli